Come si diventa Re: “Saturno che divora un figlio” di Francisco Goya

Goya+-+Saturno+che+divora+un+figlio

Nell’opera, capolavoro della serie delle cosiddette Pitture Nere firmate dal genio spagnolo Francisco Goya, a dominare la visione pittorica è la brutalità dell’atto omofago compiuto da un dio-gigante che appare dal buio del fondo.

I Romani identificavano Saturno, loro antica divinità agricola, con il dio greco Crono, figlio di Urano (il Cielo) e di Gea (la Madre Terra) che, cacciato il padre, si fece Signore del Mondo.

Crono sposò Rea ed ebbe numerosi figli ma, avendogli Gea predetto che uno di essi l’avrebbe spodestato, egli li divorò tutti eccetto Giove, che Rea riuscì a mettere in salvo. Quando fu pronto, Giove-Zeus affrontò il padre, Saturno-Cronos, uccidendolo dopo averlo evirato. Giove-Zeus divenne così il Signore di tutti gli déi.

Il Mito come sempre nasconde un fondo di verità. La storia di Zeus e di suo padre Cronos rimanda infatti alle prime vicende “regali”, quando nelle prime forme di civiltà, nei primi clan di popoli ancora nomadi o divenuti da poco stanziali la successione al trono avveniva in forma violenta con i figli giovani che, desiderosi di prendere il potere, uccidevano il vecchio padre e finivano spesso per unirsi con le madri e le sorelle.

Questa è la cosiddetta “storia regale” che, “vergognosa” in virtù della violenza espressa all’interno del ghénos (cioè della famiglia, della stirpe) e distruttiva a livello biologico a causa della deriva incestuosa, venne presto “mascherata”, riformulata e ritualizzata nel Mito e nella Tragedia (la “storia regale” è alla base tanto delle vicende degli Atrìdi quanto di quella di Edipo). Il riferimento alla regalità e alla violenza del potere non sfuggì ai contemporanei di Goya che, invece di ricondurre il contenuto del dipinto alla mitologìa greca, videro in esso un’allegoria del Sant’Uffizio o del governo assolutista di Ferdinando VII. Al di là del soggetto l’opera è divenuta una sorta di emblema della fantasia sbrigliata, barbara e modernissima di Goya, in virtù dell’esasperato impatto emotivo della scena e dell’estetica proto-informale che il pittore suggerisce per il tempo a venire in quelle quattro pennellate con cui risolve magistralmente gli arti bruni del Dio-Cannibale, mutilati dal buio.

Giuseppe Alletto

Giuseppe AllettoCommenta