L’Enigma del desiderio – Mia madre, mia madre, mia madre di Salvador Dalì

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L’Enigma del desiderio – Mia madre, mia madre, mia madre è da ritenersi un’opera fondamentale del percorso artistico di Salvador Dalì (1904, Figueras – 1989, Pùbol) è una delle sue migliori produzioni tout-court.

Con quest’olio su tela, oggi alla Pinacoteca di Arte Moderna di Monaco, il genio spagnolo inaugura la sua personale interpretazione del Surrealismo pittorico come “fotografia di sogno”: in questa fase, infatti, secondo Dalì la pittura deve registrare i contenuti onirici servendosi di una tecnica raffinata e complessa, memore della lezione degli antichi pittori (in primis i Fiamminghi). Sarà anche a causa di questa interpretazione che si consumerà il primo scontro con André Breton, capo del movimento surrealista, il quale comincerà a supportare sempre più altri artisti avvezzi a tecniche più “dirette” e meno elaborate (l’automatismo, il frottage, ecc…) considerate le più adatte a far emergere contenuti inconsci.

Per quel che riguarda l’opera in esame, essa veniva considerata dallo stesso Dalì (a ragione) una delle più importanti di tutta la sua carriera.

Il dipinto venne eseguito a Figueras nell’autunno del 1929 nel laboratorio di sartoria della zia che all’epoca il giovane artista utilizzava come atelier.

Il dipinto del 29’ costituisce anche una delle pochissime opere in cui Dalì si riferisce alla madre. A parte un foglio con un disegno a penna che costituisce un semplice abbozzo per quest’opera e che venne acquistato dal visconte di Noailles (uno dei primi e più affezionati collezionisti di Dalì), esiste almeno un’altra opera, sempre del 29’, contenente un riferimento alla madre dell’artista. Si tratta del dipinto Il Sacro Cuore nel quale campeggia la scritta talvolta sputo per divertimento sul ritratto di mia madre.

Si racconta che la frase scandalizzò a tal punto il padre che egli arrivò a cacciare di casa suo figlio Salvador. Lo spazio figurativo appare pieno di simboli ed elementi che di lì a poco informeranno lo stile e la poetica del Dalì maturo: come sempre l’artista spagnolo attinge a piene mani delle ricerche freudiane del cui verbo egli diventerà forse il più illuminato e fedele cantore nel campo delle arti visive.

L’atmosfera di sospensione metafisica che domina l’opera diventerà un marchio di fabbrica dell’artista ed avrà un peso rilevante nell’immaginario estetico novecentesco. In mezzo al deserto come sorgendo da un silenzio assordante emerge una strana roccia gialla, dura e molle allo stesso tempo, a forma di ala. In basso a destra un volto umano, dalla grande palpebra chiusa, già protagonista del dipinto Il grande masturbatore, sempre del 1929, è preda di innumerevoli formiche. In alto a destra una testa leonina con un sorriso tra l’ebete e il trionfante.

La formazione rocciosa appare come bucherellata e dentro questi incavi arrotondati che la caratterizzano è possibile leggere la scritta ma mére, ossessivamente ripetuta. L’opera si presenta allo spettatore come una congerie di ossessioni daliniane.

A sinistra è possibile scorgere una coppia di figure: la più piccola abbraccia l’altra col capo grigiastro. Quest’ultimo brandisce un coltello pronto, forse, a colpire la piccola figura che lo sta cingendo. Ancora il gruppo viene completato con un pesce, una testa leonina e un volto femminile.

Percorrendo visivamente lo spazio pittorico in profondità è possibile scorgere un ulteriore enigmatico elemento.

Un corpo femminile che si lascia intravedere da una roccia. L’opera è una sorta di teorema visivo delle ossessioni del Bambino, nel suo rapporto col Padre (simboleggiato dal leone). Le due figure abbracciate in lontananza sono padre e figlio e il coltello che brandisce il primo non è altro che un riferimento alla paura della “castrazione” in senso freudiano. Le figure femminili vanno intese come possibili liberazioni dalla morsa delle ossessioni infantili e come luoghi/possibilità in cui trovare /conquistare una piena e rassicurante virilità. Le donne del dipinto potrebbero quindi adombrare Gala, la futura compagna dell’artista, conosciuta proprio quell’estate. Ella era ancora moglie del poeta surrealista Paul Eluard ma quello estivo con Salvador era stato un incontro fondamentale, destinato a segnare l’inizio di un amore che sarebbe durato un’intera vita.

Giuseppe Alletto